La causa della celiachia, intolleranza al glutine del grano, è da ricercarsi nella varietà di grano che si coltiva attualmente.
A proposito di intolleranze alimentari, può essere considerato il fatto ben noto della celiachia, caratterizzata da un malassorbimento da intolleranza al glutine del
grano. Un’indagine condotta da 15 Centri della Società Italiana di gastroenterologia ed epatologia pediatrica su 17 mila studenti delle scuole medie inferiori ha dimostrato la presenza di celiachia, cioè l’intolleranza al glutine in un caso su 150. Qualche anno fa la frequenza era di un caso su 1000/2000. Questo dato è stato diffuso anche dalla stampa di informazione (Repubblica – Salute 5.11.98).
A questo punto si impone un interrogativo. Come mai in pochi decenni si è passati da un’incidenza di 1 a migliaia di casi a un’incidenza di 1 a 150, tanto da far sospettare un incremento ancora maggiore nel prossimo futuro, tanto che alcune statistiche parlano già di 1 a 100? Di fronte a questa situazione appare ovvio porsi l’ipotesi, che la causa sia da ricercare più nel tipo di grano moderno che si sta attualmente consumando, dal momento che da millenni stiamo consumando grano come alimento di base senza aver acquisito intolleranza.
È ben noto, che il grano del passato era ad alto fusto, cosicché facilmente allettava (piegarsi in terra – ndr) sotto l’azione del vento e della pioggia. In questi ultimi decenni questo grano è stato nanizzato, attraverso una modifica genetica.
Sembra fondata l’ipotesi, che la modifica genetica di questo grano sia correlata a una modificazione della sua proteina, e in particolare di una sua frazione,
la gliadina, che è una proteina basica, dalla quale per digestione peptica-triptica, si ottiene una sostanza chiamata frazione III di Frazer, alla quale è dovuta l’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento. È evidente la necessità di dimostrare scientificamente una differenza della composizione aminoacidica della
gliadina del grano nanizzato, geneticamente modificato, rispetto al grano 0riginale.
di Luciano Pecchiai – Primario patologo emerito
dell’Ospedale Vittore Buzzi di Milano